Viaggio tra due decenni. Parte seconda

30 dicembre 2019: ReimsWallersTournai

20191230_074750Sono le sette del mattino, forse poco prima, quando metto per la prima volta piede nel centro di Reims. I palazzi sono ancora un vago insieme di ombre che mi circondano, illuminati qua e là da qualche sprazzo di luce dei lampioni ancora accesi. Il mio principale obiettivo, la cattedrale, si trova a qualche centinaio di metri dal luogo indefinito in cui mi trovo. La sua ricerca è quasi un gioco, un’attesa che cresce continuamente sebbene la distanza tra me e lei si accorci inesorabile. Rincorro le ombre finché una, più grande di ogni altra, mi appare come dal nulla. La prima visione del gigante gotico è emozionante: girato l’angolo di un edificio, l’immensa struttura absidale mi giganteggia dinnanzi agli occhi. Provo per la prima volta, durante questo viaggio, il contatto con un’architettura fuori scala, imponente e vertiginosa. Archi rampanti, pinnacoli e guglie sono ombre più chiare che si stagliano contro un cielo ancora notturno, nuvoloso e plumbeo. Fiamme fredde che si innalzano all’aria. Mi sposto lungo un fianco della struttura e giungo alla facciata: anch’essa è immensa, assolutamente equilibrata e perfetta, fessurata da un fitto esercito di statue e colonne. Solo il bagliore di un sole ancora impreparato a sorgere la illumina, tenue. E io contemplo, non posso fare altro. I tre portali non sono ancora al culmine della loro lucentezza ed è ancora difficile distinguere le sagome scolpite presso le rispettive lunette: noto il portale centrale sormontato da un rosone, più piccolo, dominato poco sopra dal magnifico rosone centrale. Più in alto corre appena sotto i due torrioni massicci la “Galleria dei Re”, una serie di statue in nicchie che raffigurano i reali di Francia. Al centro Clodoveo è ritratto durante il battesimo. In effetti Notre-Dame di Reims è la cattedrale dei re.
20191230_075542La cattedrale apre presto, entro. Mi trovo nello stesso luogo che ha visto l’incoronazione del re, poi santo, Luigi IX nel 1226, e di un altro re, poi l’ultimo di Francia, Carlo X nel 1825. Ben oltre che seicento anni di storia. Pensavo di aver capito l’architettura gotica francese vedendo Notre-Dame di Parigi, simbolo del gotico francese, ma Reims è tutt’altra emozione. Da piccolo, quando mi spiegavano il significato del termine verticalismo, mi perdevo nei miei ragionamenti, non potendo avere un riferimento materiale di quel significato astruso. Bisogna esperire Notre-Dame di Reims per capirlo davvero, facendo scorrere lo sguardo tra le vele delle slanciate navate. Non sono tra le più altre del mondo ma il senso dello slanciato è amplificato dalla prospettiva, equilibratissima, e dalla capacità di non eccedere nella misura. È il verticalismo, signore e signori!
Fuori è ancora buio ma all’interno c’è luce, spazio e meraviglia. Non servono arredi o dipinti: l’unica decorazione è l’architettura ardita e sconfinata. Solo quando esco dalla cattedrale il sole finalmente albeggia contro la facciata, facendo risplendere i tre portali. Luci e ombre si rincorrono sulle statue che affollano questi ingressi monumentali. Sono ciascuno un piccolo sole che risplende di un’arte passata.
Mentre mi allontano da questa immensa montagna di pietra ripercorrendo i miei passi, non riesco ad abbassare lo sguardo dalle sue guglie e statue. Ragiono nuovamente sulla scultura francese medievale, con impressa nella mente l’espressione enigmatica dell’Angelo del Sorriso, scorto sulla facciata occidentale. Forse è proprio questo che nascondono le sculture francesi di quei tempi tra i drappeggi curati delle loro vesti: l’enigma. Ambiguità di una cultura fatalmente conosciuta come figlia di secoli bui, ma capace di regalarci tra i drammi delle guerre, sante e non, delle carestie e delle pestilenze, capolavori come la cattedrale di Reims. Opere di devozione che non si accontentavano del classico percorso liturgico ma lo sviluppavano con un linguaggio architettonico rivoluzionario che avvicinava la Gerusalemme celeste a questa terra attraverso la dominazione della luce.
Sarebbe ora di parlare di rinascimento gotico.

 


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Attraverso il Nord-Est della Francia sotto il sole d’inverno, cullato dall’appena percepibile movimento ondulatorio delle colline verdeggianti, un tempo oscuro teatro di una guerra lunga e orribile. Scorgo in lontananza Laon, posta su un cucuzzolo; vengo rapito dal bellissimo profilo della sua cattedrale. Ma non c’è tempo ora: mi riprometto di farvi ritorno.
Ormai a un passo dal Belgio, abbandono la strada maestra per imboccare una serie di strade secondarie, “stradicciole” per dirla come Manzoni, più selvagge e strette. La mia destinazione potrebbe sembrare a un cuore freddo solo una serie di pietre limate dal sole. Mi trovo invece nel luogo sacro del ciclismo: qualcuno lo definì “L’inferno di Arenberg”. Ricordo quante volte i miei occhi hanno assistito, incollati allo schermo della televisione, all’ingresso del plotone di ciclisti all’interno di questa foresta temibile caratterizzata da un lungo tratto di pavé durissimo e iconico nella storia del ciclismo. Coppi, Merckx, Hinault, Boonen e Cancellara: quanti tubulari hanno percorso queste pietre e quanti sono stati traditi da esse con forature e cadute.
L’ingresso del pavé è emozionante, lo vivo in apnea: camminarci non è affatto facile (immaginate percorrerlo in bici). Tutt’intorno c’è solo il surreale silenzio della foresta. In effetti, tutt’intorno a me questo piccolo paese e la sua strada di pietre è circondato da alberi. Alberi artificiali sembrano anche le torri di estrazione del carbone che si fondono alla natura di quel panorama rurale e industriale.
Sfioro una pietra con la mano e questo comporta la nuova consapevolezza di non guardare mai più una Parigi-Roubaix con gli stessi occhi. Ora so che chi riesce anche solo a concludere questa corsa, anche se fosse ultimo tra gli ultimi, è un eroe. Chi la vince? Una leggenda.

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Sconfino in Belgio verso l’ora di pranzo, quasi senza accorgermene: non esiste più quel confine su cui si combatté per anni. La trovo una grande conquista per la nostra Europa e per l’umanità. Un mondo senza confini…
La prima città belga della mia vita è Tournai. Non mi sento di definirla deludente, sebbene le mie aspettative siano state ridimensionate. Tournai è una città gioiello, ma come tutti i gioielli necessita di una costante devozione, manutenzione e attenzioni.
20191230_125139Due meraviglie, il Beffroi (la torre civica) e la cattedrale, sono perle di uno stile gotico che ancora amava fondersi e influenzarsi con il più antico romanico. Il primo si trova ai margini della Grand Place, circondato da altri edifici squisitamente valloni. Si tratta della più antica torre civica del Belgio, risalente al XII secolo, ed è curiosamente stretta tra quattro torrette addossate come in un abbraccio. La seconda, la cattedrale di Notre-Dame, è una gigantesca linea del tempo di storia e architettura. Partendo infatti dalla facciata e risalendo la navata, ci si trova in un edificio costruito in gran parte nel XII secolo, in stile romanico. Il coro invece è gotico, ispirato alle grandi cattedrali francesi, costruito tra il 1242 e il 1255. Nel mezzo, il transetto con le quattro torri segna la sfumatura tra i due stili, simbolo di un gotico insicuro che tentennava ad osare e di un retaggio romanico che si iniziava a vergognare un poco di sé. Il materiale con cui sono eretti scopro chiamarsi pietra blu di Tournai: si tratta di una pietra calcarea colore azzurro-grigio che proviene da località vicine. Il sole invernale compie delle vere magie su di essa: è una luce aranciata, pallida ma calda, che crea riflessi brillanti e lucidi, color lapislazzuli. Quando però il sole svanisce anche la pietra sembra decadere, immergendo l’architettura in un grigio infelice.
La città però mi appare vuota, trasandata a volte e intelaiata da cantieri. L’interno stesso della cattedrale è un cantiere con sedie, cavi e palcoscenici collocati in navata per non so quale diavoleria. Resta comunque una città in cui si respira profumo di Medioevo, storia e arte.
Deliziosa anche la chiesa di Saint-Jacques, poco discosta dal centro, mio primo vero impatto con Tournai. In alcuni punti conserva ancora il soffitto ligneo, nonché uno stile di fondo molto essenziale e sobrio. Modesto esempio sconosciuto ai molti di quel gotico cupo e fuligginoso tipico di Tournai.

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