Viaggio tra due decenni. Parte terza

30-31 dicembre 2019: BrugesGandBruxelles

20191230_181718Ho avuto la fortuna di poter camminare per le vie di Bruges nei due momenti più belli di una giornata: l’alba e il tramonto. Tramonto e alba, per essere precisi.
Bruges è una città unica, perfetta, tra le più belle al mondo: di notte e di giorno. Il suo centro storico è un labirinto di vie che si intersecano con i canali: talvolta sono le prime a superare i secondi per ampiezza, talvolta la situazione si capovolge e sono i canali a stringere un budello di viuzze. Vie e canali si fondono e conducono il viaggiatore in angoli nascosti, segreti, finché sbocciano in ampie piazze o torri svettanti.
Colpisce già da lontano il campanile di Notre-Dame: massiccio ma leggiadro, struttura in cui gli opposti si attraggono e giocano tra loro. Si capisce fin da subito che il gotico qui è cosa diversa dalla Francia: ci si è spinti oltre alla ricerca di forme che fossero allo stesso tempo più morbide ma ardite. Il gotico brabantino è folgorante. Le chiese appaiono più luminose internamente ed elaborate all’esterno. È uno stile che non impegna la vista, non l’affatica, ma la culla e l’ammalia. Ricorda la dolcezza del ricamo in pizzo. La chiesa di Notre-Dame ha una facciata semplice, stretta tra due torrioni circolari, che contraddice il coro fitto di guglie.
Tronco, ma per nulla tozzo è il torrione della facciata della cattedrale di San Salvatore, edificio che al suo interno, in una magica atmosfera notturna, aranciata dai lumi, è ancora più ampio e spazioso della più celebre Notre-Dame, la quale conserva tuttavia grandi tesori tra i quali le tombe di Carlo il Temerario e Maria di Borgogna. Lei è ritratta sul suo sarcofago tramite una scultura il cui volto ne conserva il fascino tipico della Fiandra: una bellezza fiamminga senza tempo ancora diffusa tra le donne del luogo.
20191231_101840È amore vero quello che però provo per il più grande tesoro custodito a Notre-Dame, opera tra le più importanti della cultura dell’arte. È la Madonna di Michelangelo, capolavoro salvato dalla folle razzia nazista. La sua salvezza è il frutto più grande dell’amore umano per l’arte, la cultura, la vita. È assolutamente perfetta. La contemplo. La contemplazione è in effetti uno degli atti che più ricorre in questo mio viaggio: talvolta infatti, mi perdonerete, le parole non bastano.
Le torri di Bruges sono fiamme stagliate al cielo e tra i riflessi dei canali. Il Beffroi è unico nel suo genere, non terminando in una cuspide ma con un torrione piatto, ottagonale. Non decresce tuttavia il suo verticalismo e il senso di dominio con il quale si staglia sulla prospicente Piazza del Mercato.
Nelle strade l’aria è affollata da turisti che si riscaldano in vista della notte più attesa dell’anno. I loro volti colti dallo stupore e dal sorriso, persi tra mille bellezze, si dipingono sui riflessi dell’acqua dei canali. I colori del Natale e le luminarie accendono la notte mettendosi in posa con i monumenti più spettacolari della città. Il vociare però pare silenzio: è il risultato della contemplazione.
La bellezza concilia la passione: si percepisce che Bruges è una città intima, romantica; non si dimentica facilmente.

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20191231_124243Di Gand mi innamoro ancor prima di entrare nel centro storico. È una città a misura d’uomo, nella quale ampi viali moderni accompagnano il viaggiatore facilmente fino al centro, grande nocciolo di storia.
Purtroppo mi sento più turista che viaggiatore: ho poco tempo e già sono cosciente che la mia visita sarà incompleta.
Mi avvicino al centro percorrendo questi vialoni che progressivamente si fanno viuzze, andando su e giù per scalinate moderne, che quasi mi fanno toccare l’acqua dei canali, e attraversando ponti, sentendomi trasportato mentre osservo l’acqua come su una zattera che fa spola dal moderno all’antico. Percorrere le vie tra le grandi costruzioni medievali del centro mi fa rivivere quel periodo e la successiva epoca d’oro: non dimentichiamoci che il glorioso Carlo V era nativo proprio di Gand.
Rimango stupito e incantato dalla Cattedrale di San Bavone. Internamente è forse la più bella cattedrale che io abbia mai visto. L’architettura è bilanciata, sottile, riduce al minimo la propria invadenza. I pilastri a fascio corrono in alto fino alla volta, alternando alla luminosità fasce più calde di colore. Tutta la navata centrale mi pare altissima, slanciata, ma ciò che mi colpisce di più è proprio questa alternanza di rossastro e grigio. I colori viaggiano dalla tinta marrone al chiaro, equilibrandosi e fondendosi a vicenda: è un gioco di bicromia che appaga la vista e il cuore, facendolo sprofondare in un profondo e viscerale amore per il sublime.
Il tesoro più grande della cattedrale è ancora chiuso al pubblico, attendo mezz’ora uscendo e godendomi l’atmosfera delle bancarelle natalizie e dell’avvicinarsi dell’anno nuovo. Noto forme bizzarre, festose certo ma non velatamente kitsch, ciò nonostante non stonano con le imponenti strutture medievali. Chissà, saranno l’aria di festa o i profumi delle leggendarie patatine fritte del Belgio, ma il tutto conferisce serenità. Intanto una timida neve inizia a cadere dal cielo.
Scruto il Beffroi, di poco più alto della cattedrale vicina, e scopro che si tratta di un simbolo delle libertà e dell’autonomia della città. Anche la non lontana chiesa di San Nicola con la sua torre sulla crociera mi attira per una celere visita. È più piccola certamente di San Bavone senza però perdere il suo fascino brabantino. Mi aiuta a ricordare le mie tappe precedenti: la facciata puramente belga ricorda molto Notre-Dame di Bruges, mentre la pietra con cui fu edificata appartiene a Tournai. Scorgo inoltre il colossale castello dei Conti di Fiandra, lontano ma percepibile. Rimpiango di non poterlo visitare.
Faccio ritorno alla cattedrale non curandomi delle mie tristezze. Ammiro estasiato il “Polittico dell’Agnello Mistico” di Van Eyck. Altra opera che rischiò di essere perduta per sempre durante la Seconda Guerra Mondiale, il polittico viene aperto proprio davanti ai miei occhi. È enorme, faccio correre la mia attenzione sui fini particolari della pittura fiamminga, in uno spazio che sembra infinito. È eccezionale la cura con cui viene rappresentato il paesaggio: foreste di conifere, dirupi scoscesi e palme esotiche, ma anche edifici goticheggianti, di ispirazione belga, che svettano oltre le verdi colline. Sono di fronte ad un altissimo esempio di pittura a olio: i corpi, i volti, gli sguardi sono squisitamente fiamminghi. Viatici di uno stile che guardava al moderno senza vergognarsi del proprio retaggio medievale.


20191231_15455720191231_160923(0)Bruxelles è fin dal primo momento in cui vi giungo una città enorme, labirintica, trafficata e profondamente multietnica. Per certi versi è uno dei cuori dell’Europa, tuttavia è una città che si cela in se stessa. La sua periferia inghiotte e maschera gli elementi che appartengono alle epoche passate. Li stringe e li soffoca: è una periferia continua, è tutta periferia.
Da grandi palazzi moderni si giunge quasi per caso alla Concattedrale di San Michele e Santa Gudula, discendendo attraverso una scoscesa via a serpentina. L’intera costruzione è una fusione ponderata tra gli influssi gotici provenienti dalla Francia e quelli fedeli ai canoni del Belgio. Forse questa commistione stilistica trova la sua maggiore evidenza nella facciata, stretta tra due torrioni e con tre portali sormontati da altrettante ghimberghe, secondo la “moda” gotica francese. Ci si accorge di essere in Belgio quando al posto del rosone si osserva una maestosa polifora, sormontata a sua volta da un timpano culminante in un alto pinnacolo tipico del fiammeggiare belga. Brabantino è anche l’assoluto predominio del bianco, all’esterno come nel vasto interno che sfida lo stupore fin quasi a produrne l’apnea. Sono estremamente brabantini i massicci pilastri cilindrici con i capitelli a foglia di cavolo (termine che scopro alla fine del mio viaggio, a dire il vero) che sebbene appesantiscano la navata non ne limitano la fuga in verticale.
L’edificio è una maestosa isola di gotico brabantino costretta in un contesto che non le appartiene e che ha forzosamente cancellato quei secoli antichi.
Il centro torna per un istante a somigliare a una qualche cosa di vagamente belga, con la Grand Place cinta da viuzze acciottolate. Sorge come dal nulla la Tour Inimitable, credo la più bella torre civica del mondo intero. Dà le vertigini solo a guardarla, giocando con le altezze attraverso l’elaborata guglia ottagonale e le quattro piccole torrette che la cingono alla base aumentandone lo snello profilo filiforme. Comprendo che l’architettura belga, di ispirazione prevalentemente fiamminga, è definitivamente l’architettura degli opposti. È leggiadra ma elaborata, fine ma ricca di complessità strutturali che ne permettono la sopravvivenza nei secoli. Spesso viene ricollegata al gotico di stile fiammeggiante, flamboyant. Fiammeggia in effetti, ricorda la fiamma, anch’essa sede naturale degli opposti: la fiamma figlia del fuoco che concilia la pace ma che può anche distruggere. E questo Beffroi è l’ultimo sfolgorante esempio di un passato lasciato a guastarsi nell’incessante modernità.
È l’ultimo giorno dell’anno e Bruxelles appare come una città viva: sembra, ma non lo è. È percossa da una baldoria e da un guazzabuglio di persone che amano il divertimento fine a se stesso. La città non vive, langue.
Ritornando in albergo, a notte fonda, da una Grand Place priva di fuochi e colori, la periferia fa rivivere la città: euforia, entusiasmo: riecco il colore! È nuovamente divertimento fine a se stesso ma che porta con sé gioia e colore. Sono i nuovi abitanti di Bruxelles a salvare il buonumore e a traghettarlo verso il nuovo anno. È nella periferia che la città trova la sua nuova vita, sebbene immemore del suo passato.

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