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Viaggio sentimentale tra Arte e Natura

Gubbio è un’altra Umbria, e dell’Umbria, la città più straordinaria. Non è dolce, né amena. Ma nessun’altra ha una bellezza così alta. Questa capitale di antichi montanari appenninici, addossata alle pareti del monte Ingino, fatta di blocchi di calcare e di mattone dalle tinte smorzate, cui solo nel Rinascimento si unì in sordina l’arenaria, ha un colore uniforme, profondo, spento. È triste e assoluta; è, per rubare la parola a un filosofo greco, del colore dei morti. Dallo spiazzo davanti al Palazzo dei Consoli si contempla un panorama di tetti arsi, con toni quasi africani. Ogni nota gaia o vivace qui sarebbe di troppo. Gubbio va dall’arcano al sublime.”

Guido Piovene, Viaggio in Italia

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Inizia in una città meravigliosa un viaggio tra imprevedibili particolari e spettacoli naturali.

Gubbio, descritto con l’arte della puntuale brevità da Piovene, è una città dove si respira medievale. Adagiata, direi quasi accoccolata alle pendici del monte Ingino, Gubbio è una città nella quale si percepiscono i secoli trasudare dagli edifici di una compostezza eterna, assoluta. A Gubbio non si cammina, si sale o si scende, ci si perde volentieri tra i vicoli o ci si ritrova in grandi spazi, dove il respiro smorzato ritrova il suo giusto ritmo e gli occhi si perdono nella sconfinata terra umbra. Non bisogna sostare a Piazza Grande, dove la vista già inizia a deliziarci, ma continuare a piedi sino ai giardini del Palazzo Ducale: lassù la vista è eccezionale perché oltre all’orizzonte si vede Gubbio stessa, appena sotto di noi, salutarci graziosa come mai.
Altra perla della città, collocata in salita lungo l’ennesima scalinata, è il Duomo, edificio gotico con un’ampia navata scandita da una sequenza di archi ogivali e capriate lignee. Di particolare fascino l’illuminazione interna alla struttura, ottenuta con fari che, rivolti verso l’alto in corrispondenza dei pilastri, permettono alla luce di scorrere lungo gli archi rendendo l’atmosfera intensa e originale.
Colti da uno spirito intraprendente, a piedi o attraverso la funivia (che riesce a convincere anche chi è preda delle vertigini), si può raggiungere la Basilica di Sant’Ubaldo, sulla cima del monte Ingino. Natura e arte si confondono nel paesaggio sottostante accompagnati dal ritmato cigolio metallico della storica funivia. La montagna purgatoriale è scalata: si è giunti in Paradiso.


Mi desto dal sogno medievale di Gubbio, dirigendomi in una terra confinante: le Marche.

Apiro è un modesto centro in provincia di Macerata, che conta poco più di duemila abitanti. Avevo già visitato tempo prima l’antica Abbazia di Sant’Ubaldo, poco distante dal centro, rimanendo sorpreso da tanta bellezza sconosciuta ai molti. Mi riporta ad Apiro una voce, un sussurro che mi consiglia di osservare il portale di una chiesa, ex chiesa per essere precisi, dedicata a San Francesco. Sono uno storico e non riesco a ignorare la voce. Vedendo il portale ne rimango affascinato. Molti studi recenti lo attribuiscono ad un palazzo dell’epoca dei Franchi, addirittura riconducibile alla figura di Carlo Martello. Il portale dunque, a differenza della chiesa, risalirebbe al secolo VIII, non al XIII secolo. La presenza di un ricco apparato iconografico laico sul portale (si pensi alle figure del guerriero-orso e del grifone o ai banni del potere) renderebbe molto plausibile questa teoria.
Il portale dell’antica chiesa di San Francesco ad Apiro testimonia in ogni caso una maestria artistica e una cura del dettaglio da tempo perdute. Discosto a fatica gli occhi da quella bellezza riflettendo su quanti particolari tesori come questo i piccoli centri italiani custodiscano.

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A poca distanza da Apiro, presso la sua frazione di Frontale, si ravvivano i miei interessi scientifici. Come una scia dipinta su una parete rocciosa, si delinea quello che la geologia ha riconosciuto come Limite K-T. Per comprendere di cosa si tratti è utile fare un passo indietro nella storia…
Alla fine degli anni ’70, il fisico Luis Alvarez con il figlio geologo Walter ed altri scienziati membri di una equipe dell’Università della California a Berkeley scoprirono un sottile strato di argilla presente nella formazione della Scaglia Rossa nei pressi di Gubbio. Quella sottile linea era collocata, geologicamente parlando, tra l’era Mesozoica (Cretaceo) e l’era Cenozoica (Paleocene), quando i dinosauri scomparvero. L’analisi della composizione dello strato consentì agli scienziati di rilevare una concentrazione anomala di iridio. Questo accumulo di iridio, materiale precipitato sulla terra a seguito della caduta di micrometeoriti, poteva in qualche modo spiegare la fine dei dinosauri? L’ipotesi di Alvarez rivoluzionò il mondo della paleontologia: un meteorite aveva causato un’immane catastrofe decretando la fine dell’era dei dinosauri. La scoperta, qualche anno più tardi, dell’enorme cratere nella penisola dello Yucatan in Messico decretò l’ipotesi corretta. A Gubbio, e anche negli affioramenti di Frontale, le rocce hanno parlato all’uomo del passato della Terra e dell’imperscrutabile incudine della contingenza nella storia della vita.

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Il mio viaggio prosegue inerpicandosi tra strade di cui fatico ad immaginarne la destinazione. Strette stradine di una terra che sembra aver dimenticato la frenesia dei grandi centri urbani, dove il tempo sembra essersi fermato in epoche lontane, epoche di tranquillità. Giungo quindi in una frazione di San Severino Marche, Elcito, adagiata alle pendici del Monte San Vicino. Il censimento del 2016 contava cinque abitanti: io non ne ho visto nessuno, anche se il silenzio sembra una vaga presenza che mi accompagna in ogni vicolo.
Arrampicandosi lungo le strade di Elcito, ci si dimentica delle dolci colline marchigiane per scoprire una realtà più ruvida, rocciosa, scarna ed essenziale. Elcito domina da uno sperone, da uno scoglio di nuda roccia un mare di verde intenso di alberi e cespugli. Non solo l’orologio si è fermato, ma anche il luogo pare essere mutato: non ci si trova più nelle Marche ma forse nella Mancia, in cerca di qualche avventura cavalleresca come il povero Don Chisciotte, oppure aspettando che un improbabile ed avventato esercito nemico si getti all’assedio del borgo. Ma nulla di tutto questo avviene a Elcito, luogo di pace e tranquillità, dove non si combatte contro giganti immaginati ma ci si limita a comprendere, e a perdersi, nell’immensità leopardiana.

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L’ultima tappa del mio viaggio è squisitamente naturalistica, immersa nel paesaggio del lago di Cingoli. Di artificiale ha soltanto l’origine, quando fu creato con una diga presso il fiume Musone negli anni ottanta, poiché il panorama di cui ci si delizia è tutto fuorché artificioso. La natura si rispecchia nelle acque limpide e gli animali sono numerosi e facilmente visibili presso canneti o boschi nei pressi del lago. Le passeggiate intorno allo specchio d’acqua permettono di osservare il lago da diverse prospettive, cogliendo di volta in volta particolari nuovi ed emozionanti. Il punto d’osservazione migliore è tuttavia la sommità di un promontorio, dove erosi dal tempo sono collocati i ruderi del castello di Castreccioni. Ancora una volta, anche davanti a un’opera creata dall’uomo, la mente viaggia tra le pietre dei muri medievali, rifocillandosi di quella tranquillità che la storia ci offre, e che oggigiorno è così difficile da raggiungere se non attraverso l’oziosa e casuale scoperta di opere e paesaggi che richiedono una paziente ricerca.

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Un ultimo saluto, in ricordo dei miei giorni trascorsi nelle Marche, va al cielo stellato che solo in una notte perfetta di settembre in un perfetto luogo insediato tra le colline di Cupramontana può salutare l’attento osservatore appassionato. Le costellazioni si mostrano allo sguardo, richiedendo pazienza per il loro riconoscimento. Ma con il tempo sbucano tutte, mostrandosi nei loro nobili ed eleganti manti di stelle.
E accompagnato dal canto della civetta non mi muovo dal prato e non distolgo lo sguardo e mi perdo ammirando l’eternità per sempre sconosciuta.

 

[…] Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi, L’infinito