Viaggio nella Germania meridionale

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Voglio fare di Monaco una città che, chi non l’abbia vista, non possa dire d’avere veduta tutta la Germania

Ludovico I di Baviera

Desidero intraprendere questo racconto della mia ultima visita nella Bassa Germania con la citazione sopra riportata, perché ben sintetizza cosa rappresenti la città di Monaco di Baviera per la stessa nazione teutonica e per il mio cuore.
È la terza volta che un’importante fiera internazionale di fossili e minerali (The Munich Show) mi porta a visitare il capoluogo della Baviera, permettendomi di fondere l’interesse per quelle creature antichissime e scomparse, “fotografate” in strati rocciosi, con la mia passione per la bellezza e l’arte. Sebbene infatti alcuni fossili, anche quest’anno, rasentassero la perfezione di vere e proprie opere d’arte naturali, più luccicanti e iridescenti dei colori dell’arcobaleno, il centro di Monaco rimane per me uno dei nuclei più equilibrati, proporzionati e spettacolari delle città europee. Condivido il pensiero di Camillo Boito, quando questi sosteneva che “i monumenti classici di Monaco non sono tanto cadaverici quanto i monumenti classici di Berlino”. Forse è una controtendenza rivendicare la superiore bellezza di Monaco rispetto alla capitale della Germania, oggi come mai meta di un turismo tanto giovane quanto poco ispirato. Ciò nonostante io la rivendico, la ribadisco e la difendo con tutte le mie forze.
È pur vero che Boito parlava di una Monaco del tutto differente da quella odierna, lascito dei bombardamenti del 1945. Tuttavia la città non è rinata dalle sue macerie, ma risorta: ha saputo reclamare il suo scettro come capitale dell’arte in Germania. “L’arte vi fiorisce, l’arte vi regna, l’arte allunga il suo scettro recinto di rose sopra la città e sorride”, diceva Thomas Mann. L’arte di Monaco è proprio il nucleo della sua bellezza: essa rivive nei colori del centro, tra le guglie grigiastre del “Rathaus” neogotico e tra i suoi gerani vermigli, nel tetto rossiccio della “Frauenkirche”, nei suoi torrioni gemelli cinti dai morbidi cupolini verde rame. Il tema dei torrioni si ripete anche in un’altra chiesa poco distante dal centro, la “Theatinerkirche”. I campanili della facciata, con il proprio colore ocra, spiccano dalla massa imponente dell’architettura, culminando con due ondeggiate cuspidi i cui riccioli sembrano giochi di equilibrio e perizia che si stagliano contro il cielo nuvoloso.
V’è inoltre una curiosità, riguardo questa chiesa, che amo raccontare a chi, come me, si interessa di arte e architettura. In quanto storico medievista ho sempre ripudiato il barocco come lo stile dell’eccessiva opulenza e pomposità. Lo “odio”, in particolare, perché spesso si è portato via intere porzioni di antiche chiese gotiche con i suoi intonaci e stucchi. Tuttavia, il barocco che accoglie il visitatore della “Theatinerkirche” non è un barocco comune, oppressivo, grossolano. Avvolge, libera la mente, fa sognare. Parrebbe quasi di entrare in un mondo differente, soggetto solo alla tranquillità e alla leggerezza. Con un po’ di fantasia, si potrebbe affermare di trovarsi all’interno di una nuvola, leggiadra come il candore di quei muri e passeggera, come il tempo di visita di quella chiesa che, come per ogni meraviglia, non è mai sufficiente.
Concludo il mio nuovo soggiorno a Monaco con la follia che mi accompagna. Follia? Perché mai?
Frutto di magnifica follia è in effetti il quadro che più è riuscito ad afferrare il mio animo nella “Alte Pinakothek”: “Giudizio universale” dello stravagante Hieronymus Bosch. Un quadro solitario, recluso in un angolo delle immense sale della pinacoteca, incupito da un’inspiegabile mancanza di luce. Eppure la contemplazione buia e cupa del dipinto permette che le figure tumultuose emergano dalla tela e si imprimano nella mente dell’osservatore che, da allora, avrà sempre un po’ la sensazione di portare con sé quel pizzico di lucida follia presente nei dipinti del grande maestro fiammingo.
Follia è, infine, quel perverso pensiero che ha mutato i miei piani di viaggio, portandomi alla caccia di uno dei miei sogni più agognati…


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Mi propongo di dare qui un breve compendio del progresso delle idee sull’origine delle specie. Fino a poco tempo fa, la grande maggioranza dei naturalisti credeva che le specie fossero immutabili e che fossero state create l’una indipendentemente dall’altra. […] Alcuni naturalisti, invece, erano convinti che le specie subissero modificazioni, e che le attuali forme di vita discendessero per generazione regolare da forme preesistenti

Charles Darwin, Introduzione a L’origine delle specie

Chissà se Darwin se la stava ridendo quando nel 1861, due anni dopo la brillante pubblicazione del suo testo di riferimento, “L’origine delle specie”, fu scoperto l’olotipo di una creatura preistorica particolarissima. Un “rettile-uccello-piumato-svolazzante”: così si potrebbe definire l’Archaeopteryx se si è inesperti del settore. Quella scoperta rappresentò sin dal primo istante una sorta di coronamento delle teorie evolutive di Darwin: una prova materiale della costruzione ideale che il naturalista aveva progettato nella sua mente.
Ripeto: non so se allora stesse ridendo ma io, di fronte al meraviglioso fossile di quella strana creatura, sono certo di aver sorriso. L’Archaeopteryx è però solo uno dei pezzi forti del piccolo, anzi minuscolo, “Bürgermeister Müller Museum” dell’altrettanto minuscolo e sperduto paesello di Solnhofen, a pochi chilometri da Monaco di Baviera. Si tratta, come avrete certamente capito, di un museo di fossili estratti proprio dalle vastissime cave di calcare presenti tutt’attorno al paese: ferite nella terra che dipingono le verdi e spaziose praterie della Baviera con il loro chiaro e lucente colorito bruno. Il museo di Solnhofen rappresenta con fermezza l’eccezionale importanza paleontologica e l’unicità di questo sito fossilifero. Il museo non è una semplice esposizione, ma una vera e propria esperienza visiva. Immersi in un mare di oltre 150 milioni di anni fa, si è circondati da immobili lastre calcaree di pesci, molluschi e crostacei fossili. Pezzi di inusitata importanza e grandezza paiono nuotare al fianco dell’incredulo visitatore che si è ritrovato in quel piccolo museo quasi per caso, in seguito a un tortuoso e movimentato viaggio su e giù tra le dolci colline bavaresi.
Arte e Natura, architettura e fossili: quale meraviglioso binomio guida, e lo grido senza modestia, le mie passioni! Solo così ho avuto la fortuna di capire quanto mirabile possa essere l’architettura della vita e quanto piccolo sia l’uomo di fronte alla profondità del tempo trascorso.
Potrei continuare e dilungarmi con la descrizione di ogni fossile presente nel museo ma le mie parole, per quanto oculate, ne vanificherebbero la magia. Vedere per credere, si dice, e in questo caso vedere per restare estasiati di fronte alle meraviglie di un innegabile passato.
La prima follia del mio viaggio è compiuta e, con quelle immagini impresse nel mio cuore come nelle pietre in cui erano conservate, mi avvicino a qualcosa che oltremodo mi stuzzicava…


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Lontano dalla Foresta Nera / qua tu corri verso il mare / dispensando benedizione ovunque. / Verso oriente va il tuo corso, / accogliendo molti fratelli, / immagine di pace di tutti i tempi! / Antichi castelli ti guardano dall’alto, / salutano lieti da lontano / e dalla corona dei monti, / chiara dallo splendore del mattino, / che si specchia nelle tue onde danzanti.”

Johann Strauss, Sul bel Danubio blu

Nevica. Il freddo è pungente. Si fatica a camminare ma è lo sguardo che, imperterrito, muove i passi indicando la via. Il riferimento visivo, il punto centrale del mio interesse è un’alta torre, culminante in una snella guglia, immensa, che domina sulle basse case disseminate tutt’attorno.
Sono stato sempre terribilmente attratto dall’altezza delle cattedrali. Forse è proprio questa, sebbene sembrerebbe banale, una delle ragioni che mi ha spinto a studiare lo stile gotico e con esso la storia del Medioevo. Questa attrazione fatale, questa contemplazione di un’immortale opera umana dalle spropositate dimensioni mi ha portato con gli anni a cullare un sogno: vedere il duomo di Ulma, ossia la cattedrale più alta al mondo.
Il mio viaggio mi ha dunque portato dalla Baviera al Baden-Württemberg, e in particolare presso la cittadina di Ulma, primo dei gioielli che si affacciano sul lungo corso del magico Danubio. Come ho già accennato, la neve (molta neve) e il freddo hanno accompagnato quella mia ultima tappa, senza tuttavia impedirmi di godere qualche istante di placida contemplazione di quella facciata stretta e aguzza, sino a oltre 160 metri di altezza. Concentrato sull’altezza, sullo slancio verticale di quel colosso, sembravo aver dimenticato la possente spaziosità del duomo, che mi si è presentato vasto non solo all’esterno, ma anche tra le austere navate. Nessuna decorazione oltremodo invadente: sono i muri e le colonne che, slanciate e modellate, costituiscono la principale decorazione dell’interno, funzionale e ipnotico. Inoltre, la fortuna di trovare la mia visita accompagnata da una musica d’organo ha reso quell’immersione nella cattedrale più alta al mondo (nonché una tra le più grandi), un’esperienza unica e credo irripetibile.
Tornerò. Lascio Ulma con questa sola parola nella mente. Il tempo funesto non mi ha permesso di contemplare, sospirare, sognare. Dunque tornerò, è una promessa, per salire sulla torre più alta, godendomi la vista delle Alpi all’orizzonte terso, e per specchiarmi nelle onde danzanti di quel Danubio appena nato e scorgere tra i suoi flutti l’immagine sfocata, ma pur sempre bellissima, del duomo proteso verso il cielo.