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5 dischi da ascoltare: Queen

  1. A Night at the Opera (1975)

L’esordio: pietra miliare del Rock.

Dopo gli altalenanti debutti di “Queen” (1973), “Queen II” (1974) e “Sheer Heart Attack” (1974), i Queen rilanciano la loro popolarità grazie a “A Night at the Opera”, l’album considerato dalla maggior parte della critica il migliore della band. Il disco si apre con la clamorosa “Death on Two Legs”, espressione dell’astio di Freddie Mercury nei confronti del vecchio manager della band, Norman Sheffield che sfruttò i Queen in passato abusando del proprio ruolo. Nell’album non mancano poi tracce “burlesche” come “Lazing on a Sunday Afternoon” e “Seaside Rendezvous”, veri e propri inni alla gioia, tuttavia studiati con metodica attenzione al suono, sperimentando tecniche sonore alquanto bizzarre ed innovative. A queste si alternano canzoni più seriose come la splendida e ritmata “39”, cantata da Brian May, e un capolavoro semi sconosciuto: “The Prophet’s Song”, un connubio tra PROG e Rock, dove la voce di Mercury è espressa meravigliosamente attraverso vocalizzi virtuosi. Come dimenticarsi infine del piatto forte: “Bohemian Rhapsody”, brano immortale, simbolo dei Queen, unione tra assoli Rock e cori da opera.

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  1. Jazz (1978)

Nuovi stili per tutti i gusti.

I Queen erano allora sulla cresta dell’onda: i dischi “A Day at the Races” (1976) e “News of the World” (1977, album tra i più venduti della band) e il singolo “Somebody to Love”, avevano garantito loro un posto d’onore sull’Olimpo del Rock. Con “Jazz” i Queen rinascono, provando una commistione di stili del tutto nuova. Da “Mustapha”, con le sue tonalità arabeggianti, a “Let Me Entertain You”, rockeggiante e ritmata da uno dei riff di chitarra più belli di Brian May, passando per “Fat Bottom Girls” e “Bycicle Race”, unione tra suoni (i campanelli delle biciclette, ad esempio), musica e giochi di voci. Sarebbe un peccato mortale dimenticarsi del pezzo forte dell’album: “Don’t Stop Me Now”, simbolo dello stile e delle capacità dei Queen.

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  1. A Kind of Magic (1986)

Un album “immortale”.

Si potrebbe scrivere un libro solo su questo album: la sua storia, le sue canzoni, il forte impatto che ebbe sul panorama musicale, e non solo, degli anni Ottanta. Colonna sonora del film “Highlander” (1986), che lo rese “immortale” grazie ad alcune tracce quali “One Year of Love”, la stupenda e delicata “Who Wants to Live Forever”, le potenti “Gimme The Prize (Kurgan’s Theme)”, colonna sonora del super-cattivo del film, e “Princes of the Universe”, arrangiamento sonoro dell’epilogo del film. Il posto di “Hit” dell’album se lo giocano “A Kind of Magic”, poesia musicata, e “One Vision”, miscuglio tra elementi seri (il Discorso di Martin Luther King) e la burla del “Fried Chicken” (pollo fritto) che conclude la canzone.

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  1. The Miracle (1989)

Il coronamento di un’eccezionale carriera.

Freddie Mercury si ammala. La stampa lo critica e lo mette alla gogna mediatica. Come rispondere meglio alle critiche se non con un album che rilanci la band? E più precisamente con una canzone: “Scandal”. Per il resto il disco “The Miracle” presenta altre tracce d’eccezione: l’intro “Party” e “Kashoggi’s Ship”, due tracce da ascoltare di fila e che formano un’unica grande canzone, la poetica “The Miracle”, narrante delle meraviglie del mondo (tra le quali, mi preme sottolinearlo, viene inserito Jimi Hendrix), senza tralasciare la perfezione strumentale di “The Invisible Man”, uno degli assoli di chitarra migliori e un giro di basso a dir poco epico, “Breakthru”, traccia carica di “movimento musicale”, e infine il capolavoro, forse, dell’album: “I Want It All”, l’alternanza perfetta tra la chitarra e la voce melodiosa di Brian May e la forza stupefacente di colui che iniziava ad essere “l’ultimo” Freddie Mercury.

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  1. Innuendo (1991)

Il testamento spirituale.

Ogni band che si rispetti, cosciente della dissoluzione imminente, ha un album che ne riassuma il lavoro e che rappresenti una sorta di “testamento”, un lascito. “Innuendo” lo è per i Queen, raccoglie tutta l’eredità e il peso di ciò che la band aveva costruito gli anni precedenti. La canzone di apertura, da cui prende il nome il disco, “Innuendo” appunto, diviene la nuova “Bohemian Rhapsody”, il nuovo capolavoro che, questa volta, chiude anziché aprire la carriera del quartetto formidabile. L’assolo centrale alla canzone trasporta l’ascoltatore, il duetto, chitarra flamenco di Steve Howe degli Yes (collaboratore di lusso) e la chitarra Red Special di Brian May, è qualcosa di unico, irriproducibile, quasi sacro. “I’m Going Slightly Mad” riporta tutti all’attualità, al coraggio di Freddie Mercury, alla capacità di saper scherzare sulla sua condizione, oramai irreparabile. E se “Headlong” ridà un briciolo di fervore all’album, le tracce “These Are the Days of Our Lives” e “The Show Must Go On” ne rappresentano il culmine. La prima, una riflessione sulla vita vissuta, quasi si fa commovente, se vista, oltre che ascoltata, nel video ufficiale dei Queen, dove Mercury appare ormai al limite. La seconda è il messaggio spirituale del gruppo, un messaggio recepito attraverso l’ultimo album “Made in Heaven” (1995), ma poi perduto. L’uomo, le movenze, la voce mancavano, e ci mancano tutt’oggi.

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